Non ama le interviste (ma ce l’ha concessa!) e avrebbe dovuto fare il medico. Una delle attrici italiane più amate torna a teatro con un nuovo progetto. “Ma raccontare gli spettacoli è noioso: bisogna vederli”, dice.
Viso e voce inconfondibili, uniti a quella unica e stralunata comicità. Una lunga carriera teatrale e cinematografica in curriculum e ora per Angela Finocchiaro un nuovo, sorprendente spettacolo, Ho perso il filo, una commedia diretta da Cristina Pezzoli affrontata con linguaggi espressivi inediti, che si dipana in un labirinto in cui si dibattono un personaggio contemporaneo e creature arcaiche molto fisiche e un po’ bulle…
Partita da Carpi il 26 ottobre, la tournée toccherà le più importanti città italiane, tra cui Bologna, Bergamo, Genova, Roma, Torino e Firenze, per chiudere a Taranto il 27 marzo 2019 (Info e date della tournée).
Lo spettacolo si chiama Ho perso il filo e promette un’Angela inedita. In che senso?
Non lo so nemmeno io, in effetti. Non so chi l’ha promesso e non mi prendo questa responsabilità (ride, ndr). Ci sono delle forme, modi e linguaggi che si incrociano all’interno dello spettacolo e che io non avevo mai percorso. Avevo proprio voglia raccontare una storia in modo diverso, senza l’esclusivo uso della parola e dunque in scena mi accompagnano sei danzatori-acrobati che si muovono sulle potenti coreografie del coreografo francese Hervé Koubi e sono molto organici alla drammaturgia.
Qual è il Labirinto in cui oggi ci perdiamo con più frequenza? E lei, invece, dove si perde con più facilità e con cosa ritrova invece il filo?
Nello spettacolo raccontiamo che, nel momento in cui si verifica un’accettazione della caducità delle cose, si acquista in un certo senso il privilegio di entrare nella schiera degli eroi. Il mio personaggio, in questa pièce, si sente un po’ inadeguato, come il pollo del sottocosto: stacchi una coscia e viene via tutto! Ma quando accetta questa sua condizione e affronta il Minotauro, in qualche maniera scatta il premio. Il labirinto di oggi consiste nel considerarsi ognuno “re del proprio metro quadro”, tra paure e chiusure di vario genere. Sicuramente mi sono ispirata a problematiche che sento molto vicine a me, ma questo è uno spettacolo costruito in divenire, su scaffali di materiale che non escludono la possibilità di mutare forma.
Riprendendo il cliché di due suoi film: dopo tanti anni di tournée teatrali in giro per l’Italia, ci racconta la diversa percezione del pubblico del Nord e del Sud alla sua comicità?
Ci possono essere delle variazioni, a seconda degli spettacoli: si ride di più o un pochino meno, ma alla fine la risposta del pubblico diventa uniforme. Esistono spettatori più riflessivi, che si fanno sentire meno durante lo spettacolo, ma poi risultano tutti molto contenti. Devo dire che gli ultimi spettacoli a cui ho partecipato hanno aiutato molto in questo senso: ad esempio, Calendar Girls era un testo dall’impostazione più classica, però c’era un gruppo femminile fortissimo ed è stata veramente un’esperienza meravigliosa.
E invece il rapporto di Angela con Milano, la sua città? Come è cambiato negli anni, anche dal punto di vista artistico?
Io non vivo più a Milano da tempo, però ci vivono i miei figli… e non se ne vogliono andare! Io da oltre 25 anni mi sono stabilita nella campagna toscana, ma rimango legata da un amore potente alla mia città e la trovo meravigliosa, anche dal punto di vista artistico.
Ha recentemente dichiarato che, ai tempi dei suoi esordi negli anni 70, nel teatro spesso si “inciampava”. Oggi invece? Ci si arriva più consapevoli?
Il termine “inciampare” è da intendersi con una valenza positiva, nel senso che allora c’erano così tante proposte e così tanti teatri di serie A, B, C, D… che dovevi veramente essere matto perché non ti capitasse l’opportunità di entrare anche solo in uno stage o in un corso o magari incontrare per strada qualcuno che facesse qualche cosa. Adesso il dispiacere più grande è che, soprattutto nelle grandi città, a tenere in piedi i teatri è un pubblico di abbonati molto avanti con l’età. E quindi ci si domanda: “Come lo ricambiamo questo pubblico? E perché il teatro deve appartenere solo alla nostra generazione?”
Cosa avrebbe fatto senza l’inciampo nel teatro? Se lo è mai chiesto?
Ah, non lo so! Io studiavo Medicina… per cui probabilmente è andata meglio così!
C’è un ruolo che avrebbe voluto nella sua carriera di attrice?
Stare a casa! (ride, ndr)
Ma è vero che a lei non piace rilasciare interviste?
Sì, trovo che raccontare uno spettacolo teatrale sia spesso di una noia mortale, perché va visto. E poi, se devo parlare di qualcosa che mi riguarda personalmente, lo considero altrettanto ammorbante.
Per INFO, DATE e BIGLIETTI della tournée vai alla Scheda dello spettacolo (Ho perso il filo).